Parole Note – Domenica 5 Febbraio 2017 | Sanremo


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invito

Le mie parole caddero come gocce
di pioggia, ed echeggiarono
dentro gli occhi e la mente…
E la gente iniziò a lampeggiare
il suo messaggio
Con le lettere e le parole che lo formavano.
E il messaggio era: “Le forme degli artisti,
la musica nella mente, la forza di chi canta,
sono scritte sui muri delle case”.
E negli androni dei palazzi.
E diventarono sussurro nel
“suono del silenzio”

Sono passati cinquanta anni da quando “The sound of silence” di Simon e Garfunkel veniva ascoltata e amata in tutto il mondo. Un testo magnifico scritto su una composizione musicale altrettanto poetica e straordinaria. Il risultato perfetto, insomma, di quando “parole e note” si sposano in una condivisione
unica di emozioni ed armonia.

Ma sono passati invece non so oramai quanti secoli da quando il grande matematico e filosofo Pitagora scoprì praticamente lo stesso valore di questo suono silenzioso…

Egli infatti portò avanti, nella convinzione che il mondo avesse una natura matematica, anche una straordinaria conclusione ovvero che l’intero Universo dovesse essere considerato un enorme strumento musicale. Come un carillon formato da ingranaggi concentrici, nel loro movimento i pianeti e le stelle emettono determinate vibrazioni sonore producendo così uno speciale “suono” (Saturno emette la nota più bassa, la Luna quella più alta). Se gli umani non riescono a sentire questo concerto celestiale, è solo per via dell’abitudine, dell’assuefazione e della distrazione. “Vi sono armonie che sono mute ai sensi” scriveva anche Plotino e comunque Aristotele stesso condivise l’idea della “musica delle sfere celesti” e addirittura alcuni pensatori arrivarono a paragonare il cielo ad una lira a sette corde!

[…]

Ora tornando inevitabilmente ai giorni nostri, a quel Suono del silenzio del 1967, viene spontaneo pensare a come l’ambiente che ci circonda abbia sempre influenzato sopratutto la mente e la creatività di pensatori ed artisti che in quel “silenzio” hanno trovato invece di volta in volta parole, immagini, suoni e
stimoli per raccontarci proprio quel “silenzio”. Dato per certo lo scambio, attivamente proficuo, tra arte e musica, con reciproche mutazioni linguistiche e contenutistiche, si può osservare come agisca, nella stretta contemporaneità, una possibile loro interazione in un’unica operazione, in una sola esperienza
artistica.

La musica si ascolta. L’arte si vede. L’ambiente si vive. Questi paiono essere postulati scontati e certi. Ma proprio l’interpretazione della musica nell’arte, in quel silenzio ricco di suoni insomma, ha stimolato artisti come Enrico Benetta, ad approfondire sempre di più ultimamente: la ricerca di euritmia delle forme, la variazione cromatica e la scelta ampia dei materiali, l’utilizzo a volte del suono stesso per rendere più coinvolgente ed empatico l’impatto con le sue opere, siano tele o più realisticamente nelle sue grandi installazioni. L’artista ha scelto la comunicazione globale del coinvolgimento emozionale per alimentare la suggestione espressiva delle sue opere, cercando sia nell’utilizzo dello spazio sia del tempo, la percezione di un proprio ambiente in relazione a sensazioni temporanee e dimensionali, soprattutto in relazione alla memoria, al ricordo. La rappresentazione diventa allora illusione della visione stessa, come nel “violoncello” alto quattro metri: uno spiazzamento visivo in cui mente e immagine rileggono un passato che torna, fino ad una rilettura quasi fiabesca dell’installazione che nel suo apparente silenzio regala suoni di energie inaspettate ma conosciute, o meglio riconosciute. Un pò come nella comprensione dell’evoluzione della musicalità nell’arte contemporanea che ha impegnato il grandi compositori a portare avanti la propria rivoluzione estetica che è andata oltre la sola composizione musicale, mettendo in discussione i fondamenti del percepire musica e arte.

Le ricerche estreme ad esempio del compositore John Cage, vicino al “sentire” di Benetta, respingono tutte le regole musicali tradizionali accrescendo, nella loro evoluzione artistica, la capacità di osservazione, di relazione con l’intorno e il sentimento: così come nella breve purtroppo produzione musicale del grande cantautore Luigi Tenco (scomparso proprio cinquant’anni fa) nel suo essere sempre al confine fra sensibilità estrema del vivere espressa anche nella profondità dei suoi testi, un’arte globale come per Benetta dove allargare e sollecitare lo stimolo percettivo verso la “materia”, sia essa stessa musica o arte visiva, comunque disegnata nello spazio esistenziale circostante per ritrovare una libertà assoluta del “sentire” l’opera. E viverla. Questa una regola nella ricerca dell’artista, nella sua filosofia, nella sua macro dimensione o nelle sue eleganti forme in relazione sempre con l’ambiente, con il sociale e con l’attenzione rivolta inevitabilmente verso la musica delle sfere di cui, in tempi remoti, parlava un certo Keplero.

da “Parole note” di Daniela del Moro

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